La comunicazione: specchio di una società
Con l’amalgama di razze e culture differenti, che è ormai caratteristica di tutti i paesi avanzati, la comunicazione è diventata un elemento che concorre in maniera determinante a garantire rapporti corretti fra i membri di una collettività. E quindi la domanda è: come si comunica? Dirò subito – in genere, male.
Tutti noi siamo dotati di un cervello, di un apparato respiratorio, fonatorio, uditivo, cinestetico e così via, elementi che formano un “tutto”, ossia il corpo, che è il nostro strumento per comunicare. Ma perché il processo di comunicazione risulti funzionale, tutti gli elementi che lo compongono devono essere utilizzati in modo corretto e consapevole.
Dopo parecchi anni di esperienza nel settore, credo di poter affermare che realmente poche persone abbiano maturato una sufficiente sensibilità ai problemi legati alla comunicazione, il che vuol dire ai problemi legati alla propria capacità di interagire con il prossimo. La maggior parte della gente, a prescindere dalla collocazione sociale e dalla cultura, risulta del tutto ignara dei meccanismi attraverso cui si comunica, convinta com’è che tutto avvenga in modo casuale e istintivo. Con i seguenti risultati:
La qualità della comunicazione (senza riferimento ai contenuti, è ovvio) è inevitabilmente banale con una fastidiosa propensione alla volgarità.
Le voci che ascoltiamo nella quotidianità sono in prevalenza stonate, opache, prive di energia oppure stridule, taglienti, aggressive. Si percepisce molto chiaramente, soprattutto in posti affollati, come un rumore di fondo, che talvolta sembra sconfinare in una sorta di nevrosi collettiva, determinata dalla assoluta incapacità di dosare volume, tono, respiro, ritmo, articolazione dei vocaboli e via di seguito.
Il corpo è portato in giro come fosse un peso, privo di espressione e personalità, con posture rigide o ripiegato su se stesso.
I gesti sono ripetitivi, disordinati, cadenzati nervosamente, mani e braccia buttati qua e là, con mancanza di connessione tra concetto espresso e significato gestuale.
Lo sguardo è perso nel vuoto, oppure ostinatamente fisso sull’interlocutore, senza un giustificato motivo.
Il volto mantiene un’ espressione standard consolidata, privo di mobilità, o perennemente sorridente in disarmonia con l’emozione reale.
L’abbigliamento (la cui funzione non si limita a coprire ma a completare), è per lo più uniformato alla moda del momento, oppure risulta banalmente contaminato da altre culture, con un’ ulteriore difficoltà ad affermare la propria identità.
Infine rilevo una sconsolante insensibilità dello spazio personale e sociale rispetto al nostro prossimo.
Come porre rimedio a questa situazione che ai miei occhi appare così seriamente compromessa? Tanto per cominciare, credo che la comunicazione dovrebbe essere insegnata nelle scuole. Senza la consapevolezza dell’insieme di regole che governano il processo comunicativo, apprese appunto in età scolastica come una normale materia, diventa difficoltoso in età adulta mettere in atto cambiamenti radicali. Tutto ciò evidentemente non ha nulla a che vedere con il bon ton o altre leziosità!
Penso che una società, oltre ai molteplici aspetti economici, sociali, culturali, religiosi, debba agire anche in questa direzione per un processo evolutivo dell’individuo, per migliorare le relazioni interpersonali e anche, perché no?, dare un certo stile al Paese.